Parole sulla neve
Non è un vero e proprio esperimento di scrittura digitale. Anzi, a prima vista sembra qualcosa di assolutamente diverso. Shelley Jackson, infatti, scrive soltanto sulla neve. Scrive parole che idealmente compongono singoli stati d’animo, o elementi di conversazioni da ricostruire camminando o immaginando. In ogni caso, parole strettamente legate alla materia di cui sono fatte: la più effimera delle materie, destinata a sciogliersi in pochi giorni o poche ore cancellando quelle stesse parole che per un attimo qualcuno ha inciso sulla sua superficie bianca e fredda (ma non sempre così bianca, e spesso riscaldata proprio dai segni che vi si sovrappongono). Ma è proprio a questo punto che questa sorta di land art in sedicesimo entra in contatto con la scrittura digitale. Perché Shelley Jackson non si limita a scrivere sulla neve, ma fotografa (digitalmente) le sue parole e le condivide immediatamente su Instagram, più esattamente sul profilo: snowshelleyjackson. Le parole concrete ma effimere scritte sulla neve diventano così, grazie all’effimera consistenza della fotografia digitale, un racconto continuo che col tempo potrebbe diventare qualsiasi altra cosa.
Secondo Mercy Pilkington, un progetto come quello della Jackson potrebbe addirittura rappresentare un modello integrativo per l’editoria digitale. La domanda a cui bisogna cercare di dare una risposta è: “even better, can a series of 200 Instagram pictures be considered an ebook, if read altogether?” E non si tratta di una domanda retorica. La Jackson non scrive sulla neve parole in libertà, ma frammenti di una vera e propria storia, che si legge a rovescio, ovvero comincia con la prima instantanea pubblicata su Instagram e prosegue di conseguenza. Non siamo poi così lontani dagli esperimenti narrativi basati su twitter, come narrativa in 140 caratteri o twitteratura. A riprova del fatto che i mondi digitali sono un ponte tra il reale e l’immaginario. In questo caso, un ponte ricoperto di neve.
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